La realtà della perdita di una persona cara a causa della demenza

Roberta ha sedici anni quando incontra Carlo per la prima volta. “Eravamo in una balera” dice lei sorridendo “Non ci chiedevano mai di ballare, credo perché avevano notato che non sapevamo i passi”.

È un giovedì di metà Dicembre. Raggiungo al terzo piano l’appartamento di Roberta e Carlo e noto che non c’è una ghirlanda natalizia alla porta, quest’anno. Il salone è immacolato, con le pareti rosa salmone abbellite da tutte le foto di Roberta e Carlo con gli amici, che sorridono e ridono. La benedizione papale di matrimonio, incorniciata, è messa con orgoglio proprio al centro del muro. Sulla mensola, un bouquet di fiori freschi in un vaso, posto, insieme a tanti ornamenti, vicino a un giradischi. Sotto due poltrone, una di fianco all’altra. Una è una poltrona elevabile, ma entrambe sembrano nuovissime con i cuscini pieni e immacolati. Trovo Roberta seduta sul divano. Noto che indossa un orologio salvavita e ha in mano dei fazzolettini.

Le chiedo se vuole qualcosa da mangiare, le allungo le sue pillole e mi siedo al suo fianco. Roberta le mette da parte e inizia a raccontarmi della sua relazione con Carlo. “Quando ho incontrato Carlo, la mia amica mi disse ‘Non avrai intenzione di ballare con lui, vero? E se poi ti accompagna a casa? Devi tornare a casa con me, non ho i soldi per il tram’. Beh, lui mi chiese di accompagnarmi a casa e io diedi alla mia amica i soldi per il biglietto.” La sua faccia si illumina al solo ricordo.

Roberta e Carlo stanno insieme da allora, sono più di 60 anni. “Mi dà sempre il bacio della buonanotte; non andiamo mai a dormire senza esserci scambiato quel bacio e poi non litighiamo o discutiamo mai, mai successo.” Le chiedo di più sulla loro vita di coppia: entrambi amano la musica e Carlo cantava spesso per lei.

Mi parla di quando faceva la sarta e della sua vita da mamma con il loro unico figlio. Roberta mi parla del suo amore per il giardinaggio e le ore spese fuori a prendersi cura delle piante. Mi indica la finestra e io vedo un giardino comune condominiale: mi rendo conto che il pezzetto di Roberta non è stato curato da un po’. Roberta inizia a ricordare dei loro viaggi e m parla dei tanti viaggi fatti nel Nord Africa, tra Egitto, Tunisia e Marocco.

La conversazione procede e Roberta si perde nel ricordare i tempi felici. Spiega che Carlo era un bravissimo carpentiere e punta il dito sulle mensole, piene di libri sul giardinaggio, la falegnameria, il cucito e guide turistiche. Mi guardo intorno e per la prima volta noto che la stanza è piena di mobili creati personalmente da Carlo.

Durante i suoi ultimi anni di lavoro, Carlo era a capo della manutenzione dell’ospedale locale. Poi, un giorno, tutto è cambiato. “Carlo aveva appena staccato in ospedale e stava scendendo per la strada fino a un bivio in cui doveva decidere che direzione prendere. Mi disse ‘Non so da che parte andare’. Ma lui aveva già fatto quella strada, centinaia di volte, ogni giorno per andare a lavoro.”
Roberta mi confida che si sentii confusa “Anche se non ci diedi troppo peso, pensai ‘vabbè, sta solo invecchiando'”. Poi Carlo iniziò a uscire e a non tornare a casa. La polizia o i nostri conoscenti lo trovavano che si era perso e lo riportavano a casa.

Tre settimane dopo andarono dai medici. Fu allora che scoprirono che Carlo aveva la demenza senile. !Non lo volevo sapere. Non volevo affrontare la realtà. Lui non ha mai fatto vedere come si sentiva, Carlo era un tipo silenzioso.” Ricorda che si sentiva impaurita e spaesata su quello che sarebbe successo.

Poco tempo dopo, Roberta era fuori a fare la spesa e aveva lasciato Carlo a casa da solo. Sapeva che non avrebbe lasciato l’appartamento perchè lui aveva paura di scendere le scale. Quando tornò a casa, trovò suo figlio con una donna che non conosceva. La donna faceva parte del personale di una clinica locale e avevano aspettato che ritornasse affinchè Roberta potesse parlare con lei. “Ma io non volevo farlo.”

Ormai anche la saluta di Roberta era peggiorata. E poco dopo questo episodio, fu cosstretta a prendere delle decisioni difficili e dolorose. “Carlo era ormai nella casa di cura quasi a tempo pieno quando andai in ospedale. Quando venne l’ambulanza mi dissero ‘Portalo con te in ospedale, non puoi lasciarlo da solo qui.’ e così andammo entrambi.” Il dottore più tardi le disse che non sarebbe tornata a casa quella sera. Allora Roberta cercò un posto dove far vivere Carlo: sarebbe tato lontano da lei per la prima volta in assoluto, da quando si erano sposati. C’erano solo tre case di cura nelle pagine gialle e lei non speva nulla di nessuna di queste. Poco dopo aver chiamato, la casa di cura mandò qualcuno a prendere Carlo che fu sistemato al piano terra in una stanza temporanea.

A questo punto del racconto, Roberta scoppia a piangere. “Io pensavo di potermi prendere cura di lui, ma mio figlio aveva visto che era troppo per me da gestire, sai, Carlo è un uomo grande e grosso. Questo è stato il momento peggiore. Ho detto a mio figlio ‘No, no, posso ancora prendermi curà di tuo padre e tu potrai venire a trovarlo ogni volta che vorrai, basta che vieni qui e puoi passare del tempo con lui.’ Non volevo che se ne andasse, non volevo assolutamente.”

Sono passati due anni dalla diagnosi di demenzia di Carlo. Chiedo a Roberta se vuole andare a trovarlo: lei annuisce, ma in macchina noto che guarda fuori dal finestrino mentre si tiene una mano pressata sulla bocca. “Quando non vado a trovarlo così spesso mi pare di vedere il suo sguardo assente, mi guarda con gli occhi vuoti”, dice lei mentre con la mano fa il gesto a indicare come sia impassabile suo marito.

Mentre ci avviciniamo alla stanza di Carlo, Roberta inizia a incolparsi di non fargli visita più di frequente. Quando entriamo, noto un calendario su cui sono segnati degli eventi passati. La TV ha un volume così alto che potresti sentirla dalla sala comune. Ci guardiamo intorno alla ricerca di Carlo e lo vediamo, sprofondato sulla sua sedia. Sembra stia dormendo a fianco a un altro uomo in una posizione simile. Roberta sposta una sedia vicino alla sua e mette una mano sul suo braccio. Inizia a parlargli, ma gli occhi di Carlo guardano fisso davanti a sé. Roberta mette il suo viso a fianco a quello del marito e allora lui le bacia la guancia.

Noto un cambio repentino in Roberta: perfttamente in controllo, ora i suoi occhi supplicano per avere una reazione da parte di Carlo. Ci incoraggia a spostarci nella sala da pranzo per avere della privacy e io mi guardo intorno per trovare un posto libero in quella che sembra una mensa scolastica.

Sono passate tre settimane da quando Carlo si è trasferito nella casa di cura definitivamente. Vedo la preoccupazione negli occhi di Roberta quando inizia a notare quanto lui sia cambiato. “Mi sono messa davanti a lui, ma la sua faccia era inespressiva, come se non avesse intenzione di parlarmi. Mi preoccupa. Non ho ancora chiesto niente al dottore, ma dovrò farlo per assicurarmi che Carlo sta bene.”

Chiedo se possiamo vedere la stanza di Carlo. Mi dicono che l’ascensore è fuori servizio, quindi bisogna fare le scale. Inizio a domandarmi come facciano i pazienti, molti dei quali hanno una mobilità limitata, a spostarsi. Sento una stretta al petto. Quando raggiungo la stanza di carlo vedo che c’è spazio soo per un lavandino, un armadio e un letto singolo. La finestra della stanza è spalancata e le sottili tende a fantasia sventolano nel vento. “Mi manca terribilmente, davvero. È sempre stato un uomo stupendo, non merita tutto questo.” dice Roberta sconsolata.

Quando Carlo scoprì della sua malattia, entrambi smisero di vedere gli amici, andare in vacanza, fare spese insieme e anche di prendere le loro lezioni. Ma quello che a Roberta manca di più sono le lore uscite di coppia, solo loro due.

“Vorrei fosse successo a me, ma a quel punto chi si sarebbe preso cura e avrebbe continuato ad amare lui?”

“Mi manca così tanto, ogni singolo giorno. Ogni giorno, mentre mangio da sola, penso ancora che potrei riuscire a prendermi cura di lui. Non posso accettarlo, non ci riesco.” Mi addolora vedere Roberta prendersi la colpa per quello che è successo a Carlo, come se penasse di non aver fatto abbastanza.

Di ritorno nella sala da pranzo, Roberta mi parla ancora del loro amore per la musica. Riproduco una delle canzoni preferite di Carlo dal mio telefono: all’inizio Carlo non reagisce, la sua espressione rimane vuota e assente. Ma dopo qualche secondo, i suoi occhi si illuminano e il suo volto si addolcisce. “Nilla Pizzi!” esclama emozionato. La linea del telefono viene interrotta e la musica si interrompe, ma Carlo continua a cantare la canzone. Insieme Carlo e Roberta cantano come se niente fosse “Rose, Rose Ma le più belle me le hai mandate tu. Grazie dei fior Tra tutti gli altri li ho riconosciuti…”

Più tardi, Roberta mi dice che quella è la prima volta in diverse settimane che Carlo le ha parlato o ha interagito con lei.

Sono quasi le quattro quando ci salutiamo. Mentre lo facciamo, sento la rabbia montarmi dentro. Come può essere questa la fine della storia d’amore tra Carlo e Roberta? È questo il meglio che possiamo dar loro? Mentre ritorno in stazione, non posso fare a meno di pensare a tutti quelli che vivono e soffrono nella stessa situazione di Roberta e Carlo, e a quanta poca scelta abbiano avuto nel corso della loro vita avanzata insieme.

Roberta ci ha lasciato dodici giorni dopo questa intervista. Carlo è ancora nella casa di cura.

Alcuni nomi e dettagli sono stati modificati per proteggere l’identità delle persone di questa storia.